I SEPOLCRI IMBIANCATI DELLA PARI OPPORTUNUTA'

19 febbraio 2018

Ormai sono stanco di sentire parlare in ogni consesso, giuridico e non, della parità di genere.
In ogni competizione elettorale, particolarmente mi riferisco a quelle che riguardano l’avvocatura, deve essere salvaguardata tale parità, non già, si badi bene, un numero minimo di candidate, principio assolutamente condivisibile ma, piuttosto pur lungi da generalizzazioni, la riserva del seggio, dello scranno, della cadrega, e questo per me non è assolutamente accettabile.
Posto che nel quotidiano sono circondato da donne: in famiglia a tutto tondo, salvo per il gatto che, però debbo confessare è stato nottetempo castrato (spero sinceramente che tanto non avvenga anche di me); nella professione, in studio per la quasi totalità; nelle aule di giustizia neanche parlarne, e allora prima di procedere oltre, come concludono le ordinanze post eccezioni, preme chiarire il mio generale pensiero ed il mio pormi nei confronti dell’altro sesso:
Le donne si apprezzano per la loro sola esistenza e si rispettano a prescindere da normative, cogenti o di indirizzo.
Pur ritenendo che la parità di genere sia un bene superiore non posso tacere che resto spaventato da riserve che, spesso, rischiano di non premiare i più meritevoli privilegiando le appartenenze. Non sarei per nulla scandalizzato se nei più disparati consessi della vita pubblica ed associativa, in primis nell’avvocatura, vi fosse una maggioranza (ma anche una totalità) femminile, “guadagnata” con l’impegno sul campo e con la stima e la fiducia di tutti, del ceto forense nel caso specifico.
E allora senza dilungarmi sul panorama che verrà tanto per le prossime elezioni dei consigli degli ordini e per quelle del CNF, dove la riserva sarà piena, mi piacerebbe una pausa di riflessione sull’amaro destino di una donna, di Reyhaneh Jabbari, la ragazza iraniana recentemente giustiziata, e mi piacerebbe che la copertina della nostra rivista portasse riprodotta la sua fotografia e viepiù pubblicato il suo ultimo scritto indirizzato alla madre che, davvero, mi ha molto colpito e commosso.
Lo riporto in sintesi e mi auguro che il suo sacrificio venga ricordato in modo imperituro, del resto, citando Matteo 5,1-12 non è forse vero che saranno “ … Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli ….”.
Mi pare che la vicenda non abbia troppo scaldato gli oracoli delle pari opportunità, ma forse ho letto poco e poco, sicuramente, mi sono applicato nella ricerca.
La libertà, il rispetto della donna, la sua emancipazione andranno ricercate anche e soprattutto in quella parte del mondo che non ha radici giudaico-cristiane e quando sarà, speriamo presto, potremo godere di una vera integrazione e di una diversa, migliore, cultura interraziale.
Vada a quella Donna il mio imperituro memento.
Giovanni Cerri


La famiglia ha divulgato l’ultimo messaggio di Reyhaneh alla madre: ve lo forniamo nella traduzione integrale fornita dall’opposizione iraniana:
“Cara Sholeh, oggi ho appreso che ora è il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime iraniano). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno perché sei triste. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?
Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per questa sofferenza e sarebbe andata così.
Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.
Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando mi dicesti di quel vetturino che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a dargli la frusta sulla testa e sul viso fino a che non era morto. Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore.
Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo? La tua esperienza era sbagliata. Quando è accaduto questo incidente, questi insegnamenti non mi hanno aiutato. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo ed una spietata criminale. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge.
Omissis
Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze e in ogni modo possibile. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che avrai bisogno di tempo per questo. Perciò ti dirò una parte delle mie volontà presto. Ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una simile lettera dalla prigione che venga approvata dal direttore della prigione. Perciò dovrai di nuovo soffrire per causa mia. E’ l’unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione.
Mia dolce madre, cara Sholeh, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Te lo dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.
Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò il Dr. Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.
Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli accusati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene”.
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